E' un piccolo paese, Arce, di origini antichissime, e la sua storia è
densa di episodi importanti. Roccaforte sita nella terra dei Volsci,
segnò con il Liri il limite dell'espansione sannitica. Quando i
romani, superato il fiume, fondarono sul suo territorio la colonia di
Fregellae, fu questa la causa che provocò la seconda guerra sannitica
(nel 328 a.C.). Successivamente, Fregellae divenne cosi grande e
potente da ribellarsi ai romani, che la distrussero. Molti secoli più tardi,
si rifugiarono ad Arce settemila Goti, in guerra con Narsete. Per
lungo tempo fu inquieta città di confine, quando insieme al suo
territorio finiva a Nord quello del Regno delle due Sicilie. La sua
storia s'era poi come acquietata nella vicenda senza clamore della
provincia ciociara, prevalentemente agricola e pastorale, lungo un
silenzio che i lampi della guerra squarciarono allorché, nell'ultimo
conflitto mondiale, si trovò ad essere retrovia immediato e sofferente
nella cruenta battaglia di Cassino. Nella vicenda che, di nuovo quieta
e quasi ferma, dalle rovine della guerra aveva ripreso imperturbata il
corso, quando si principiava, indotto del terziario da tempo presente
e dall'industrializzazione incalzante, il mutamento del modello
economico con la crisi di valori che gli è concesso, si è avviata,
nel '70, una rappresentazione annuale che ha avuto successo ed
apprezzamento dilaganti ed è già consolidata e conosciuta tradizione.
Prima, ad Arce, c'erano
semplici, spontanee tradizioni popolari, patrimonio della provincia
nella quale Arce si colloca, immutate nei secoli ed estranee nel
tempo. E vi erano, in qualche caso, rappresentazioni di tipo
recitativo, di origine più recente, legate alla fissità della scena.
Si è fatta, allora, analisi e sintesi di quanto preesisteva e si è
creato qualcosa che è profondamente nuovo, eppure legato all'antico,
che è tale da sottrarre le tradizioni all'insidia del tempo e che è
soprattutto capace, per i suoi caratteri, per l'originalità, per la
spettacolarità, di richiamare grandi folle anche da luoghi lontani. A
chi volesse spiegarsi le ragioni di un così grande e, per molti versi,
imprevedibile successo, non sarebbe arduo notare, oltre l'originalità
ed il carattere di sintesi di tradizioni di per sé suggestive
l'impotenza e la fedeltà storica delle ricostruzioni sceniche, che
mutano letteralmente l'aspetto di vie e piazze del paese; il numero di
personaggi, che si contano a centinaia; la varietà e la rigorosità dei
costumi; la puntualità della macchina organizzativa. Ed ancora su
altri elementi è giusto fermare l'attenzione: l'impiego di tecnologie
avanzate, grazie alle quali si ottengono particolari effetti; la trama
narrativa, con dialoghi, musiche e danza, mai presente prima in una
rappresentazione di così vasto respiro, della durata di quasi due ore,
durante le quali, a ritmo serrato, si succedono decine di scene, e
chi si svolge non già in teatro ma nelle vie del paese; a monte di
tutto questo, la collegialità e continuità dello sforzo organizzativo,
che dura mesi interi e vede impegnati artisti, consulente storici,
artigiani, tecnici. Ma, questa presentazione non può in alcun modo
bastare a far capire cosa sia in effetti la rappresentazione del
Venerdì Santo di Arce.
Occorre essere lì, quel
giorno, tra migliaia di persone, in una folla che è essa stessa
suggestivo spettacolo, e vedere decine e decine di soldati romani
marciare dietro i loro vessilli, ed il Cristo tra la gente osannante e
poi tradito e condannato, e vedere da ultimo, su una rupe, le tre
croci lentamente e realmente levarsi, ciascuna col suo fardello umano,
ad essere infisse al suolo, mentre, da sfondo, contro il cielo, le
ruvide pietre di case antiche assistono immote. Una manifestazione
così non la si potrebbe ripetere altrove, fuori di questi luoghi e
della gente che in essi vive e lavora paziente, pazientemente
accettando la vita e la morte, senza lampi né clamore.
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